Non si può fermare il flusso delle immagini; Phil Solomon è solamente uno sciamano che prova a incastrarle, immagazzinarle, definirle. Si prende un immaginario - Il Mago di Oz, Il Giardino Segreto, GTA o qualsiasi altra cosa avesse tra le mani - e si cerca di esorcizzare l'influenza che ha in noi. Buttiamo il significato e teniamo solo i significanti: ricerchiamo la forma dei nostri ascendenti, non gli ascendenti stessi. Da qui i sottotitoli di una scena sconosciuta possono concorrere all'ampliamento del senso in quanto puramente visivi.
La ricostruzione dell'immaginazione infantile, il film non è la ricostruzione del nostro Giardino Segreto e neanche l'opera lo è: la pellicola stessa è il giardino segreto di Solomon e di tutti noi, se siamo disposti a lasciarci trascinare.
Per diciassette minuti e 40 secondi siamo immersi nel sogno e la grandezza del disperato finale nel quale l'autore, da demiurgo del suo mondo immaginario, ne determina l'unica fine, la distruzione (o il suo tentativo). L'amarezza per la fine dell'innocenza non si può fermare, la vita è un flusso di immagini inarrestabili e Solomon fa la sua scelta: attraverso l'unico potere nelle sue mani, è necessario dare fuoco alla pellicola per isolare il momento, impedire il prolungamento e cristallizzare il momento. Restano solo contorni, ombre e riflessi. Ce l'avrà fatta?