al tuo gesto si spengono nel piatto
di cristallo, al soffitto lenta sale
la spirale del fumo
che gli alfieri e i cavalli degli scacchi
guardano stupefatti; e nuovi anelli
la seguono, più mobili di quelli
delle tue dita.
La morgana che in cielo liberava
torri e ponti è sparita
al primo soffio; s’apre la finestra
non vista e il fumo s’agita. Là in fondo,
altro storno si muove: una tregenda
d’uomini che non sa questo tuo incenso,
nella scacchiera di cui puoi tu sola
comporre il senso.
Il mio dubbio d’un tempo era se forse
tu stessa ignori il giuoco che si svolge
sul quadrato e ora è nembo alle tue porte:
follia di morte non si placa a poco
prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo,
ma domanda altri fuochi, oltre le fitte
cortine che per te fomenta il dio
del caso, quando assiste.
Oggi so ciò che vuoi; batte il suo fioco
tocco la Martinella ed impaura
le sagome d’avorio in una luce
spettrale di nevaio. Ma resiste
e vince il premio della solitaria
veglia chi può con te allo specchio ustorio
che accieca le pedine opporre i tuoi
occhi d’acciaio.”
Due persone si ritrovano agli estremi di una scacchiera e ci è dato sapere che una di queste sta fumando. Accingendosi a spegnere l’ultima di una lunga serie di sigarette, l’attenzione viene posta prima sul fumo che si annida tra le pedine della scacchiera riempiendo la stanza e successivamente sui numerosi anelli prodotti da questo fumo, paragonati a quelli presenti sulle sue dita. In questa situazione rallentata e riflessiva, il fumo crea l’illusione di aver svelato un altro mondo sul soffitto della stanza, almeno finché l’apertura improvvisa della finestra non lo agita. Questa situazione di sospensione metafisica viene interrotta dalla pulizia dell’aria permessa dall’aprirsi quasi automatico della finestra: è visibile un paesaggio popolato da esseri umani con tratti demoniaci, portatori della “follia di morte”. In questo modo si apre il componimento montaliano intitolato “Nuove stanze, una canzone composta da quattro stanze a maggioranza di endecasillabi piani (fa eccezione il penultimo verso della terza e della quarta stanza, entrambi endecasillabi tronchi), con una minoranza di settenari e quinari, entrambi piani. Questi ultimi, ad eccezione del quarto e del decimo verso, sono ritrovabili negli ultimi versi di ciascuna stanza. Data l’abbondante presenza di questi versi così importanti per la tradizione italiana e l’ambientazione fiorentina (deducibile dalla presenza della Martinella, la campana di Palazzo Vecchio), si può supporre che l’intento di Montale sia proprio quello di strizzare l’occhio alle origini della letteratura italiana e alla loro capitale, Firenze. Inoltre, a livello contenutistico, si possono percorrere due strade interpretative. La prima porta a una lettura macrotestuale, ovvero alla rappresentazione di Clizia-Irma Brandeis, la probabile protagonista della poesia (nella lettera a Silvio Guarnieri viene esplicitato, “ultimi giorni fiorentini di Clizia”), spesso ricondotta alla tradizione stilnovista (e quindi fiorentina) della donna-angelo. La seconda, invece, riguarda proprio il ritmo che lo scrittore voleva dare alla lirica: la lunghezza del verso, quello tradizionalmente più lungo e accettato (a differenza del dodecasillabo), permette di costruire e manipolare il ritmo in modi decisamente interessanti e variegati, passando da versi estremamente lenti (testimoni ne sono i primi versi) ad alcuni più veloci (esempio della terza strofa, quasi priva di punteggiatura). L’endecasillabo permette una libertà molto ampia in questo ambito, lasciando decidere al compositore il ritmo ottimale rapportato al contenuto e mantenendo una coerenza estetica senza pari.
Come ulteriore prova del collegamento con lo stilnovismo vi è la descrizione di quel “tu” così presente nelle opere di Montale. Il filo rosso viene costruito con il concetto di ineffabilità tanto caro ai già citati fiorentini del ‘200: così come il fumo, la donna è sfuggente e dai contorni sfumati, ci si può limitare solo a descriverne alcuni dettagli. La presenza è esplicitata ma non definita: il gesto (v. 2), gli anelli (v. 6), le dita (v.8). Clizia viene descritta nel modo in cui interagisce con gli oggetti e con lo spazio circostante: ci sono dei richiami alla magia attraverso gli anelli come gioiello e ornamento (possibili echi di Ariosto) e agli anelli come prodotti del fumo, in una manipolazione fisica che aggiunta al ritmo estremamente scandito porta a un’atmosfera decisamente sospesa e surreale, soprattutto in prospettiva delle stanze seguenti. Ed è proprio questa sospensione ad essere fondamentale per l’introduzione alla poesia; questo luogo chiuso è per la maggior parte estremamente realistico, ma vi è un’inquietudine di fondo data da alcuni elementi, sopra tutti la personificazione degli alfieri e dei cavalli, “guardano stupefatti” (v. 6), che contribuisce a creare un’atmosfera troppo poco reale. Tutto questo è inoltre supportato da una citazione diretta di Montale in una lettera a Contini, spiegando come ha scritto questi versi: “caduto in istato di trance”.
Passando alla seconda strofa, vi sono altre conferme per ciò che sostenevo in precedenza: lo stesso citare “la morgana” (v. 9) fa apparire tutto come un’illusione, e ovviamente non solo i giochi di fumo ma soprattutto la sospensione presente nella stanza. La formazione di queste “torri e ponti” (v. 10), con lo sfondo il soffitto che rimanda al cielo di quel perfetto ecosistema, probabilmente ulteriore rimando alla Firenze medievale, vista come un momento di splendore se paragonata alla contemporaneità dello scrittore. Il fenomeno ottico preannuncia qualcosa, probabilmente qualcosa di tremendo. Tutto si basa su un equilibrio estremamente fragile, distrutto dal “primo soffio” (v. 11) che apre la finestra, e quasi con un gesto simbolico a strappare il velo di maya che tiene i due protagonisti separati dal mondo intero nell’illusione, ecco la realtà. In un intento analitico forse un po’ troppo vertiginoso e azzardato, si potrebbe riflettere sul rapporto tra il fenomeno ottico e il “tu”, rappresentante di Clizia, attraverso la biografia e la storia. Dal momento in cui questa lirica è molto probabilmente ambientata durante il periodo fascista e, visto che le date riportano 1939 quale anno di composizione, ovvero dopo l’introduzione delle leggi razziali in Italia del 1938, il simbolo Clizia-Irma Brandeis di origine ebraica ha la potenza di poter evocare questi incantesimi al fine di fuggire dalla realtà. La Brandeis stessa è stata una grande studiosa di Dante e c’è quasi un istinto in lei a tornare con la mente ai grandi fasti di una Firenze che è ora stata corrotta dal fascismo. La memoria storico-letteraria si fa materia per la concessione di un momento tranquillo e libero dalle preoccupazioni.
Con delle strategie retoriche che ricordano molto la tecnica cinematografica, la profondità di campo mette a fuoco la finestra aperta, non più i due protagonisti. Ma questi, come spettatori, vedono scansarsi lo “stormo” dato dal fumo per arrivare a quello delle persone, dei fascisti definiti come “una tregenda/d’uomini” (vv. 13-14). Firenze è ora una città infernale popolata dai fascisti, definiti qui come un insieme di demoni. Anche il quasi-enjambement tra dodicesimo e tredicesimo verso (“là in fondo, /altro stormo si muove”) suggerisce, al modo delle inarcature leopardiane, una spinta vertiginosa che mette l’accento su un aspetto: quel verso che cade nel vuoto è esattamente il sentimento dei protagonisti nell’avere la visuale aperta sulla disperazione del mondo esteriore, sempre contrapposto alla perfetta tranquillità e sospensione della stanza precedente. Ed è proprio qui che torna la scacchiera: il gioco permette di creare un’atmosfera di tranquillità e silenzio data dalla riflessione nella prima stanza e forse quasi “ornamentale”, ma ora si manifesta nella sua seconda accezione, forse quella principale. Gli scacchi sono un gioco di strategia bellica, e da qui si arriva al significato metaforico, sostenuto e anzi esplicitato dall’io lirico nella terza strofa. Dopo la presentazione quasi fantastica dei poteri di Clizia, rimandati anche dalla trasformazione del fumo in incenso (una delle poche parola a rima perfetta con ”senso” nel sedicesimo verso), decisamente legato alla liturgia, costui si chiede se lei (“tu”, v. 18) sia consapevole di cosa stia succedendo in questo “giuoco che si svolge/sul quadrato e ora è nembo alle tue porte” (vv. 18-19). Quindi la scacchiera diventa proprio il campo di battaglia geopolitica in atto nel 1939, con la Seconda Guerra Mondiale alle porte (se non già cominciata) e una “follia di morte” (v. 20) quasi impossibile da far finire. Il pessimismo montaliano qui subentra con irruenza, passando dalla prospettiva individuale a quella collettiva: fermare questa “follia di morte” (v. 20) è possibile solo attraverso “altri fuochi” (v. 22), prevedendo una totale distruzione reciproca. La salvezza è possibile solo grazie a questa donna-angelo, che con il suo potere, attraverso il “lampo del tuo sguardo” (v. 21) quando è estremamente luminoso e quindi non “limitato” dalle “fitte/cortine” (vv. 22-23), ovvero una situazione in cui questi fatti sono nascosti da un “dio/del caso” (vv. 23-24). Questo è un collegamento con la seconda strofa per quel che riguarda l’illusione: è un altro passo verso la verità. Dove il primo era il soffio di vento che portava via “morgana” e mostrava la prima parte di realtà, il secondo è attraversare queste “fitte cortine” per provare ad avere a spingersi sempre oltre nella comprensione, anche strategica (vedi la scacchiera), della situazione. Per questo “il lampo del tuo sguardo” (v. 21), perché è proprio Clizia a dover aiutare il poeta (ed estendendo il significato l’umanità) a fare luce nelle tenebre che circondano il loro angolo perfetto di tranquillità.
D’un tratto fu la Martinella: la campana di Palazzo Vecchio risuona e i pezzi degli scacchi, che potrebbero essere estesi a una metafora dei soldati e in generale della popolazione quali semplici pedine, si irrigidiscono. Grazie al “tu” stanno prendendo coscienza degli avvenimenti ed è sempre una metafora a portare questo significato: la “luce/spettrale di nevaio” (vv. 27-28) ha risvegliato le anime in concomitanza con il rintocco della campana, segnale di pericolo. Ma non è salvezza, piuttosto consapevolezza: la battaglia che solo Clizia può aiutare a vincere deve ancora iniziare.
Le differenze con “La bufera” si ritrovano soprattutto nel ruolo della donna angelicata, poiché in questa (successiva, probabilmente composta nel 1941) la speranza assoluta nel ruolo salvifico di Irma è messa in dubbio. È un pilastro fondamentale nella vita di Montale, “come quando ti rivolgesti e con la mano, sgombra/la fronte dalla nube dei capelli”, quasi curatrice divina attraverso questi simboli che gli permettono di non soffrire più così tanto, liberandogli la mente con un gesto, ma finisce comunque in tragedia, poiché “mi salutasti – per entrare nel buio”. Questa separazione dolorosa è biograficamente rilevante se collegata proprio al difficile rapporto tra i due amanti. La Brandeis passava la maggior parte del tempo negli Stati Uniti e questo privava Montale di quella persona che avrebbe potuto sollevarlo, anche solo per un attimo, dal suo dolore. In questo caso, nonostante il focus fosse leggermente più spostato sul contesto storico invece che sui sentimenti del poeta, c’era ancora l’illusione che questa potesse salvarlo e il suo amore era così grande da illudersi che avrebbe anche potuto salvare tanti altri (se non tutti).
Ed è proprio attraverso queste strategie retoriche che avvengono i passaggi durante la narrazione poetica, partendo da uno stato di completa sospensione, rafforzato dal correlativo oggettivo del posacenere, delle pedine degli scacchi, degli anelli. Oggetti che ritorneranno esplicitamente o implicitamente ma i rispettivi significati verranno cambiati, stravolti e declinati a seconda dell’obiettivo comunicativo. Il fumo diventa l’incenso messianico, le pedine di un gioco logico-strategico una popolazione inerme e incosciente del pericolo, la scacchiera il campo di battaglia delle nostre vite. I dubbi risolti e accantonati, la speranza della salvezza passa attraverso l’amore e quanto questo possa illuminare la strada da percorrere, permettendo l’allontanamento dalle tenebre e dalla “follia di morte” dei due grandi dittatori dell’Europa occidentale. La potenza di Amore filtrata da Montale in questa lirica è universale e totalizzante, passando da una prospettiva intima alla speranza nella salvezza.